Muoversi 2 2021
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COME IL BITUME PUÒ ENTRARE NELL’ECONOMIA CIRCOLARE

COME IL BITUME PUÒ ENTRARE NELL’ECONOMIA CIRCOLARE

di Maria Rita Valentinetti

Quando si parla di economia circolare difficilmente si pensa ad un prodotto come il bitume che, per le sue caratteristiche, rappresenta l’elemento fondamentale per la costruzione del le strade. Eppure, sono in corso studi e sperimentazioni per il riutilizzo di materie prime secondarie o prodotti di scarto rigenerati e recuperati che entrano a pieno titolo nel concetto di economia circolare.

Maria Rita Valentinetti

Sviluppo prodotti

speciali, bitumi

e additivi Eni

Si può senz’altro affermare che molte applicazioni del bitume rappresentino già da tempo esempi concreti ed efficaci di contributo alla sostenibilità, ben prima dell’attuale corsa a dimostrare che una tale attività o un certo prodotto concorrano alla salvaguardia ambientale. Da molti decenni, infatti, anche in assenza di specifiche normative, il riciclaggio del fresato, l’attenzione ad aspetti di sicurezza per gli operatori o semplicemente pratiche di economia sui materiali vergini sono state driver importantissimi nella ricerca e sviluppo dei bitumi e degli asfalti. Sono infatti disponibili già da tempo tecnologie per l’impiego del fresato di asfalto, leganti per la produzione di conglomerati bituminosi a basse temperature, bitumi modificati per manti stradali di lunga durata, bitumi speciali per la impermeabilizzazione. L’attenzione agli aspetti di salvaguardia ambientale è sempre stata determinante anche nella produzione delle membrane bituminose, settore che è riuscito a sviluppare prodotti di elevatissima prestazione.

Fra le tecnologie con forte connotato di sostenibilità molto importante in termini di volumi è il riciclaggio del fresato, materiale ottenuto dalla demolizione delle pavimentazioni ammalorate: bitume e aggregati sono riciclabili al 100% e possono essere riutilizzati più e più volte. Il riciclaggio storicamente e usualmente perseguito dalle imprese stradali, oggi non si basa più su pratiche empiriche, ma su basi scientifiche con l’impiego di leganti opportuni in grado di integrare le perdite di prestazione del legante esausto; sono commercialmente disponibili leganti, additivi, impianti che permettono di riutilizzare dal 10% al 40% di fresato. Nel medio lungo termine in Italia sarà importante allinearsi alle percentuali di riciclaggio a cui si è arrivati in altri paesi europei, passando dal 20% circa ad oltre il 50% come in Germania, con conseguente riduzione delle emissioni di CO2.

Altro interessante capitolo è quello dei bitumi applicabili a temperature più basse di quelle classiche, anche perché le alte temperature di stoccaggio, trasporto ed applicazione del prodotto rappresentano il rischio più importante legato all’uso del bitume. Un’alternativa agli standard di produzione tradizionali, ecocompatibile e volta a migliorare l’impatto del comparto nei confronti del pubblico e delle maestranze, è data infatti dai conglomerati bituminosi tiepidi, warm mix. La riduzione della viscosità del bitume rende possibile le lavorazioni a temperature mediamente più basse di 20-40°C a parità di caratteristiche dei bitumi, con vari benefici: risparmio energetico nell’uso di combustibile, maggior uso di fresato, flessibilità del ciclo produttivo, riduzione delle emissioni in atmosfera, riduzione di fumi e odori. In Germania sono presenti nei capitolati tecnici governativi da più di 20 anni.

Anche la durabilità, descritta come longevità delle prestazioni, è un elemento chiave per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità: misure semplici per produrre un prodotto di qualità e durevole possono contribuire in modo significativo all’ambiente. Il miglioramento della durata dell’asfalto può essere ottenuto in diversi modi, fra i quali l’uso dei bitumi modificati con polimeri (pmb) sono l’esempio più importante. Essi consentono di realizzare manti più sicuri, permettono la realizzazione di heavy duty surfaces e allungano gli intervalli di manutenzione. Moltissima letteratura scientifica sulla valutazione della durabilità dimostra che, a parità di tutti i parametri, un conglomerato prodotto con bitume modificato ad alte prestazioni resiste a rottura per un maggior numero di cicli rispetto ad uno prodotto con bitume tradizionale di pari gradazione. I modificati con polimero sono utilizzati da decenni da tutte le società autostradali, sulla viabilità delle superstrade e per interventi di risanamento strutturale. A chi obietta che la produzione dei “pmb” è a più alta densità di carbonio, risponde Nynas che se l’opera è stata realizzata ad arte ha dimostrato che il maggior dispendio di CO2 in produzione è recuperato dal prolungamento della vita utile.

Anche un’adeguata manutenzione stradale può contribuire nel ridurre le emissioni della CO2 in futuro. È noto che l’impatto principale, rispetto alle attività connesse alla viabilità,  sono le emissioni dai veicoli; la quantità di energia e di emissioni associate alla costruzione e al mantenimento di una strada sono solo una frazione di quelle dovuta al traffico.

Associazioni di settore come EAPA, FHRL (Forum dei Laboratori di Ricerca Stradale) ed EUPAVE (European Concrete Paving Association), che rappresentano l’industria europea delle pavimentazioni stradali, ha quantificato il possibile contributo al risparmio di CO2 che si otterrebbe da una efficiente ed estesa manutenzione delle strade utilizzando i risultati di alcuni studi indipendenti. La mancata uniformità della superficie, presenza di avvallamenti, di buche, giunti deteriorati, influenzano direttamente il consumo di carburante attraverso le perdite di efficienza nel rotolamento che il veicolo ha viaggiando su di esse: ci sono perdite di energia del sistema di sospensione e perdite nel contatto  tra  pneumatico  e pavimentazione (maggiore attrito, maggiori consumi). Chiaramente più sono deteriorate e di scarsa qualità le pavimentazioni, maggiori sono queste perdite di efficienza e maggiori i consumi. Nel position paper sono riportati nel dettaglio i risultati di vari studi, in base ai quali si dimostra come un’adeguata manutenzione con la sostituzione delle superfici ammalorate con pavimentazioni “omogene ed uniformi” comporti minori emissioni di CO2, fino al 5%. Il position paper quindi conclude che un aggiornamento di un terzo dell’intera rete stradale Europea entro il 2030 potrebbe portare a risparmi annuali di 14 Mton di CO2. Secondo le associazioni, occorre incoraggiare gli Stati Membri e le autorità stradali a prendere in considerazione tale effetto di riduzione della CO2 nei loro piani di manutenzione stradale.

Un ampio capitolo è poi quello dell’utilizzo delle secondary materials, utilizzati come diluenti o modificanti del bitume sia nella produzione dei conglomerati che delle membrane bituminose: polverino di gomma da pneumatici fuori uso (pfu), cere, polimeri organici, plasticizzanti di natura vegetale, oli flussanti, polimeri di recupero. Il bitume, per sé stesso, è un materiale che permette di incorporare altri materiali anche di natura diversa. Tecnologie di inglobamento dei “pfu” nelle pavimentazioni sono state ampiamente sperimentate a partire dagli anni ‘80 in USA, riscontrando vantaggi per le miscele nelle quali il polverino è addizionato  al bitume (tecnologia “wet”). In USA e Spagna l’impiego dei “pfu” nel settore stradale è nato per abbattere il problema dello smaltimento, la Road Authority ne prescrive l’utilizzo e ne controlla la prestazione. Alcune compagnie petrolifere attive in Europa hanno introdotto nel proprio portafoglio leganti contenenti “pfu”. Moltissimi studi sono poi attivi nel mondo per inglobare nel bitume o nell’asfalto plastiche di recupero, che sulla carta possono essere considerate agenti modificanti. La plastica però non si disperde completamente nella miscela di asfalto e non si comporta come un sostituto diretto del bitume. Le maggiori preoccupazioni sollevate, comunque, riguardano durata ed eventuale rilascio di microsfere nei corsi d’acqua a causa del degrado della pavimentazione. L’uso di tali materiali è per la maggior parte a livello di sperimentazioni in alcuni paesi e quindi si riconosce il bisogno di sviluppare e studiare prestazioni e aspetti di sicurezza di tali soluzioni. Il Rilem, l’Unione dei laboratori delle aziende che si occupano di pavimentazioni stradali, sta lavorando proprio per sviluppare una solida comprensione e valutazione dell’uso di rifiuti e materiali marginali come alternativi ai tradizionali. Poiché le strade sono inserite nell’ambiente naturale, queste sostanze vanno valutate anche per verificare che non contaminino le falde acquifere e il suolo intorno alle strade.

La posizione di Eurobitume, l’associazione europea dei produttori di bitume, parte dalla assoluta consapevolezza della necessità e opportunità nello sviluppo di modelli di economia circolare e dalle motivazioni dal punto di vista ambientale, tecnico o economico. Allo stesso tempo, si afferma che qualsiasi iniziativa per aumentare la circolarità dovrebbe essere basata su evidenze solide che tengano conto dei benefici netti per la società durante l’intero ciclo di vita. I prodotti realizzati con l’inclusione di materiale secondario dovrebbero essere sostenibili ed efficienti in termini di risorse e favorevoli dal punto di vista economico e del ciclo di vita, perché le pavimentazioni in asfalto e le coperture sono investimenti infrastrutturali critici altamente ingegnerizzati e di qualità controllata.

L’associazione dei produttori di asfalto, EAPA, ha pubblicato un position paper in cui si sostiene che non solo l’aggiunta di materiali secondari non deve penalizzare il conglomerato né per gli aspetti di sicurezza degli operatori né per l’ambiente, ma non si devono sacrificare le prestazioni del prodotto finale né il potenziale riciclaggio futuro, né i costi complessivi. I materiali secondari sono una grande opportunità per aumentare ulteriormente le prestazioni del bitume in termini di sostenibilità, ma occorre essere certi che questo sia il modo migliore per utilizzarli rispetto ad altre applicazioni.

Come nel mondo dei carburanti poi sono in studio alternative di origine non fossile. Ad oggi gli studi hanno identificato tre modi diversi nell’uso di bio-leganti: legante alternativo diretto (sostituzione al 100%), bitumen extender (sostituzione dal 25% al 75%), modificante (<10% di sostituzione). Il bio-olio può derivare da processo di pirolisi, a partire da rifiuti domestici,  alimentari, dell’industria della plastica, carta e tessuti. Anche altre biomasse come lignina, resina di tall oil e pece resinosa ottenuta come sottoprodotto del processo Kraft di lavorazione della polpa del legno, sono state studiate o sperimentate come legante, come adesivi e come emulsionanti per gli asfalti. Le fonti testate includono zucchero, melassa e riso, mais fecola di patate, resine di gomma, cellulosa, rifiuti di olio di palma, di cocco, di olio di arachidi. Inoltre, sono numerosi gli studi nei quali al legante di origine non fossile, in miscela a quello a base di petrolio, si uniscono materiali di recupero, primo fra tutti il “pfu”, per fornire una certa consistenza al prodotto. Utilizzando tali materiali sono state realizzate delle stese dimostrative, ma sono attesi sviluppi significativi in futuro.

In conclusione, si può affermare che i prodotti alternativi studiati fino ad oggi non presentano contemporaneamente le molteplici e differenti proprietà che può vantare il bitume, materiale legante ed impermeabile per eccellenza, dal costo contenuto, riconosciuto materiale da costruzione dal Regolamento Europeo 305/2011 e con sviluppi tecnologici molto avanzati o che danno un contributo alla salvaguardia ambientale, come riciclabilità e capacità di inglobare materiali secondari. Ma i tantissimi studi in atto, attraverso maggiori sperimentazioni, porteranno ulteriori contributi di sostenibilità e a nuovi importanti risultati.

BITUMI INNOVATIVI: SE NE PARLA IL 13 APRILE NEL WEBINAR UNEM-SITEB

Lo scorso 17 febbraio si è tenuto un nuovo workshop del Gruppo Strategico Carburanti alternativi

e energie per la mobilità di unem, dedicato al tema “Bitumi e sostenibilità”.

Operatori, rappresentanti delle Istituzioni e dell’Università hanno parlato dell’evoluzione di un prodotto fondamentale per il settore delle costruzioni stradali e aeroportuali. Il mercato del bitume è molto cambiato negli anni, dal picco di consumo tra 2000 e 2010 (circa 2,5 mln di tonnellate), fino al minimo del 2017 (1,4 mln di tonnellate), per poi riprendere dal 2018. L’Italia esporta bitume in quantità significative, in virtù del ridotto livello di rifacimento e manutenzione di strade e per il sostanziale congelamento di nuove grandi opere. Dal punto di vista prestazionale, lo sviluppo di bitumi modificati con polimeri, dotati quindi di elevatissima adesione, ha consentito la realizzazione di conglomerati drenanti e fonoassorbenti che migliorano la sicurezza e abbattono il rumore. Sotto il profilo ambientale, sono state sviluppate e perfezionate tecnologie di riciclaggio dei manti stradali e di produzione dei conglomerati a bassa temperatura o a freddo, in modo da abbattere le emissioni inquinanti. Di questo e altro si parlerà nel webinar del 13 aprile, organizzato da unem in collaborazione con Siteb (per informazioni info@unem.it, siteb@siteb.it).